Dall'altro lato, i bilanci per la difesa e il riarmo non sono più negoziabili, ma vengono spinti con urgenza. I numeri sono concreti: la produzione di un solo carro armato o l'impiego di un jet da combattimento per una singola missione brucia combustibili, metalli rari e risorse energetiche in una quantità che annulla interamente gli sforzi di sostenibilità di un piccolo quartiere residenziale per anni. L'impronta carbonica di un conflitto, sommata alla distruzione deliberata di infrastrutture civili e industriali (che richiedono una ricostruzione massiva e inquinante), rende le politiche di classe energetica domestica un gesto simbolico, se non inutile.
Non si tratta solo di emissioni dirette. Bisogna considerare l'impatto sul ciclo di vita dei materiali. La filiera bellica non è circolare; si basa sull’estrazione intensiva e sull’obsolescenza rapida e distruttiva. I fondi destinati alla produzione di ordigni e sistemi d'arma sono risorse finanziarie che vengono sottratte non solo all'ambiente, ma anche all'innovazione pulita che potrebbe effettivamente rendere sostenibile l'economia continentale. Se l'obiettivo dichiarato è la sopravvivenza del pianeta, investire contemporaneamente in strumenti progettati per la massima distruzione è una deviazione strategica inspiegabile.